La montagna ai tempi del COVID-19
Ricevo e pubblico volentieri un articolo scritto di getto dal nostro amico Guido Luccisano. Partendo dal momento che stiamo stiamo vivendo, ci offre molti spunti di riflessione. È un post più lungo del normale ma vale la pena leggerlo. Fateci sapere cosa ne pensate.
Premessa
Noi che scriviamo queste righe sulla montagna in questo periodo di grande prova per il nostro Paese, non siamo né epidemiologi, né esperti di economia e neppure ricopriamo ruoli professionali in montagna.
Tuttavia, compatibilmente a lavoro e professione, abbiamo dedicato e dedichiamo la nostra vita all’arrampicata e all’alpinismo, con impegno, passione e sempre crescente desiderio di avventura.
Vorremo anche evidenziare che ciò che sappiamo fare, tutto quanto di bello abbiamo vissuto in montagna e che ancora vivremo, lo dobbiamo a chi, negli anni della nostra giovinezza, ci ha seguito, insegnato e corretto con grande competenza e professionalità.
Questa, quindi, lungi dall’essere un’analisi di fonte autorevole o specializzata, propone soltanto uno spunto di riflessione, un semplice punto di vista.
Punto di vista circa l’alpinismo, l’arrampicata, l’escursionismo, e, in generale, le altre attività che si svolgono in ambiente, subito dopo che l’Emergenza COVID-19, in Italia, sarà rientrata.
Scenari di maggiore responsabilità
“La montagna sa aspettare” si è scritto di recente, e noi crediamo sia vero.
Vista la passione, la nostalgia e il desiderio che la Montagna lascia nelle vite dei suoi amanti, però, crediamo che la sua attesa non durerà più di tanto… e ciò, a nostro modo di vedere, sarà davvero un bene.
Ma speriamo e vogliamo credere che si imporrà, forse e finalmente, un diverso modo di farLe visita.
A dover cambiare nel breve periodo, subito a ridosso dell’epidemia, speriamo già dalla stagione estiva 2020, pensiamo debba essere la “mentalità e modalità d’approccio” alla montagna.
Con “mentalità e modalità d’approccio” intendiamo il modo di pensare, pianificare e realizzare una salita, una via o un trekking che presenti elementi anche contenuti di impegno, difficoltà e di rischio.
In vero, vista la cronaca degli anni passati, “mentalità e modalità d’approccio” forse dovrebbero cambiare comunque e a prescindere dalla crisi epidemica.
Ma oggi ciò vale a maggior ragione, non soltanto nella prospettiva della sicurezza individuale, ma anche dinnanzi a parametri di responsabilità più ampi, diremmo sociali.
Maggiore pianificazione e preparazione dovrebbero consentire, oltre alla sicurezza di tutti in una prospettiva di solidarietà allargata, “il recupero” di quel grande deficit di fiducia che, pure in termini di percezione soggettiva, l’esperienza del COVID-19 ci pare stia lasciando dietro di se.
Così che, con la auspicata e progressiva rimozione dei vincoli alle libertà, si potrà fare ritorno in sicurezza, sin da subito ci auguriamo, alla Montagna.
Un ruolo centrale sotto questo profilo, sempre a nostro parere, spetterà alle Guide Alpine e ai Rifugisti. Ma proviamo a spiegarci meglio.
Modelli di organizzazione per il ritorno alla normalità: libertà di spostamento e attività ricettive
Superato il primo picco epidemico, l’esigenza centrale sarà contenere il virus per il periodo di tempo necessario allo sviluppo di un vaccino o, comunque, a pervenire ad una sufficiente immunità nella popolazione.
Tali esigenze di salute pubblica, però, sono poste in bilanciamento con l’altro, fondamentale, interesse alla tenuta economica (e sociale) dei sistemi nazionali.
La tendenza attuale - stando a quanto è attualmente allo studio e anche avuto riguardo alle dichiarazioni ultime del Presidente del Consiglio dei Ministri del 01.04.2020 - parrebbe per la riapertura progressiva di tutti i settori dell’economia, a cominciare da quelli industriali e da quelli – si dice – “strategici”.
In Italia l’impatto complessivo sul PIL delle sole attività ricettive, tenuto anche conto degli effetti “indiretti” e “indotti”, secondo le stime del WTTC, incide in misura superiore al 13%.
Ciò senza avere riguardo al settore ristorazione, sport, servizi e prodotti commerciali aggregati.
Senza alcuna velleità di preveggenza, ma visti i fatturati e l’incidenza complessiva del comparto sull’occupazione e sul PIL, non crediamo che turismo e attività ricettive vengano relegati in coda alle attività in riapertura.
Piuttosto auspichiamo che si trovino soluzioni tecniche e logistiche per consentire una rapida, ancorché graduale, ripresa del settore.
Ora, “l’antecedente logico” che ci sembra necessario rispetto alla ripresa delle attività ricettive dovrebbe essere la rimozione progressiva dei limiti agli spostamenti.
La libertà di movimento, tuttavia, rimarrà vincolata alla conservazione di alcune misure restrittive soggettive, in particolare quelle di distanziamento sociale, di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, di limite e fors’anche divieto dell’uso di spazi condivisi che ostino al distanziamento, e di sanificazione sistematica dei luoghi di ricettività.
Ansia da contagio e percezione di insicurezza diffusa: il luoghi di assembramento
A lato del ritorno strutturale alla “normalità” crediamo occorra considerare un elemento soggettivo/psicologico.
Ci sembra di poter dire, infatti, che l’esperienza del COVID-19, stia lasciando e lascerà molte ferite aperte nella nostra collettività.
Sotto il profilo delle percezioni e conseguenze comportamentali, tali “ferite” paiono in buona parte dovute alla “mediatizzazione” dell’epidemia e, in particolare, all’evidenza che si è data giornalmente alle conseguenze nefaste del contagio “in uno” con la crisi dei sistemi sanitari.
Vari studi confermano che l’impatto mediatico di queste evidenze sta producendo nella collettività un senso di ansia diffusa, di paura e diffidenza nei confronti dell’altro.
Si prevede, quindi, che il ritorno alla normalità (intesa come “fase tre” e ripristino graduale dello status quo ante rispetto l’epidemia) nella frequentazione di strutture aggregative ed altri luoghi di forte assembramento sarà assai lenta e sofferta.
La tendenza di breve (ma crediamo anche di medio) periodo potrebbe essere quella ad evitare il più possibile i luoghi e le località che per definizione implicano occasioni di prossimità fisica tra persone.
La Montagna come luogo di distanza dal “mondo”
Noi che scriviamo abbiamo sempre trovato nella montagna il nostro “rifugio lontano dal casino”.
Un luogo incantevole e solitario dove poter “vivere” una vita diversa, secondo noi più vera, una libertà più piena ed essenziale, intrecciando relazioni molto più rade ma più forti e durature, autentiche e sincere.
È vero che, soprattutto nelle località più gettonate di fondo valle, spesso le concentrazioni turistiche sono tutt’altro che irrilevanti.
Ma poco più in “su” rispetto le medesime località, dove l’asfalto capitola progressivamente allo sterrato e questo cede al sentiero nelle abetaie, anche nei periodi di alta stagione, si ha sempre il modo di trovarsi soli o ben distanti dagli altri.
Ciò è ancora più vero laddove, finiti i percorsi turistici si arriva “al cuore” della montagna, con i suoi alpeggi, le sue enormi pietraie, i ghiacciai, le sue pareti da vertigine.
In questo senso la Montagna, a nostro giudizio, può essere il luogo di “distanziamento sociale” per eccellenza, il primo luogo cui, magari, fare ritorno.
Maggiore impatto delle variabili connesse al rischio tipico dell’attività in ambiente: tenuta e riorganizzazione del sistema sanitario e senso di responsabilità
Se da un lato la Montagna costituisce – sempre a nostro vedere – il primo ambiente bello ed ideale cui fare ritorno, d’altro lato presenta indubbiamente, così come è sempre stato, una classe variegata di criticità.
Parliamo dei rischi connessi all’ambiente considerato in senso oggettivo ma anche alla soggettività di coloro che vi si addentrano.
Ogni volta che si esce in montagna - in sostanza - si dovrebbe avere la consapevolezza di assumere un rischio multifattoriale la cui minimizzazione deve essere affidata all’esperienza, alla preparazione fisica e tecnica, all’attrezzatura, alla pianificazione degli itinerari e delle possibilità di ritirata.
Siamo convinti, però e volendo essere realisti, che spesso la decisione di andare in montagna sia in qualche modo anche favorita dalla consapevolezza della competenza e prontezza del soccorso alpino e, soprattutto, dalla percezione di affidabilità del sistema sanitario ed ospedaliero nazionale.
Se dovesse succedere qualcosa, in altri termini, si sarebbe comunque protetti.
A tale riguardo, tra le “ferite” che il COVID-19 lascia ci sembra di poter individuare la percezione di un sistema sanitario in grande stress.
Parrebbe, stando a quanto si è dichiarato e “mediatizzato”, che le strutture ospedaliere siano state i primi e maggiori centri di focolaio del virus e, si trovino, attualmente in fortissima condizione di crisi.
Chi scrive, in realtà, è convinto che il sistema ospedaliero sia in fase avanzata di riorganizzazione ed abbia assunto strategie efficaci di gestione del COVID-19.
Facciamo riferimento alla de-localizzazione delle strutture “COVID-adibite” al potenziamento enorme delle attrezzature, ma anche alla acquisita competenza di tutto il personale medico e alla sanificazione degli ambienti sanitari.
Nondimeno - verosimilmente ci pare - si avranno per qualche tempo remore, riluttanze e paure a finire, per qualsiasi ragione anche banalissima, in ospedale.
Questa percezione potrebbe fungere da dissuasivo alla frequentazione dell’ambiente montano.
D’altro lato un sano e dovuto senso di responsabilità dovrebbe condurre ciascuno di noi ad evitare quelle “avventure” che ci pongono innanzi a pericoli che potremmo non saper gestire.
Ciò, anzitutto, a motivo del rischio che assumono i ragazzi del soccorso nelle operazioni di recupero.
Ma questo è vero sempre e comunque, indipendentemente dall’epidemia o dal rischio contagio.
Tale responsabilità, però, oggi dovrebbe essere ulteriormente valorizzata e considerata anche al lume dell’epidemia e del relativo impatto sul sistema sanitario.
Maggiori preparazione e pianificazione come fattori di svolta: il ruolo centrale delle scuole di montagna, dell’accompagnamento professionale e della “risposta” dei rifugi alpini.
In effetti la cronaca e l’esperienza degli operatori ha serratamente testimoniato che grande parte degli incidenti occorsi in montagna ma anche dei semplici recuperi è dovuta a scarsa preparazione, mancanza di attrezzatura e pianificazione logistica, superficiale valutazione delle variabili e, talvolta, finanche, completa e irrazionale sottovalutazione o inconsapevolezza del rischio.
A nostro avviso tali “leggerezze”, che erano già intollerabili in passato, lo sono oggi a maggiore e più evidente ragione visto l’impegno del nostro sistema sanitario sul fronte epidemico ed il (quantomeno percepito) maggior rischio di contagio presso le organizzazioni mediche.
Si tenga anche conto del fatto che, a seguito dell’epidemia, è probabile che le ultime a riaprire saranno le strutture che per prime sono state chiuse e cioè gli impianti di risalita/discesa.
In tal senso l’adeguata pianificazione della logistica e delle possibilità di ritirata, bivacco e pernottamento in quota, sarà essenziale: è verosimile infatti che alcuni itinerari che si riuscivano ad effettuare in giornata grazie agli impianti, necessiteranno di più giorni in loro assenza.
Pensiamo (ed auspichiamo) che questo coinvolgerà sin da subito i gestori dei rifugi, cui spetterà il compito di ri-attivare le strutture e organizzarle in modo da rispettare per quanto possibile i parametri di distanziamento, imponendo l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
Inoltre, ogni volta che si affronta “cum grano salis”, ad esempio, una salita alpinistica o anche un semplice trekking si dovrebbero valutare attentamente tutti i fattori coinvolti: si dovrebbero studiare le relazioni, ponderando i gradi di difficoltà tecnica, la proteggibilità della linea, l’impegno globale, la tipologia di salita, le possibilità di ritirata, la complessità della discesa e gli altri elementi logistici, anche in rapporto alla condizione fisica e psicologica di ciascuno. Si dovrebbe valutare lo stato e le qualità della roccia, della neve o del ghiaccio in rapporto alla evoluzione dei fenomeni atmosferici.
Si tratta delle valutazioni minime necessarie alla sicurezza che, però come i fatti dimostrano, non tutti i frequentatori della montagna sono in grado di fare.
Ecco perché pensiamo che tornare alla montagna nel futuro di breve periodo, cioè a ridosso del termine della crisi epidemica, non possa che implicare maggiore assunzione di responsabilità (anche sociale) e per questo debba coinvolgere maggior competenza, professionalità ed esperienza.
In tal senso le Guide Alpine e le loro scuole di montagna – a nostro modo di vedere - avranno un ruolo di rilievo.
Coinvolgere in un’uscita le professionalità in questione, infatti, da un lato dovrebbe avere l’effetto di alleggerire della responsabilità i partecipanti minimizzando anche le preoccupazioni connesse alla associazione di idee tra imprevisto/incidente, crisi sanitaria e salubrità degli ambienti ospedalieri.
Dall’altro lato, ben più oggettivamente, la presenza di una Guida andrebbe ad abbattere in modo deciso i margini di errore nelle valutazioni e, in caso di imprevisti, dovrebbe limitare la probabilità se non completamente evitare che la situazione degradi nell’incidente.
Conclusioni
Il grane desiderio di fare presto ritorno in montagna, per le considerazioni svolte e sempre secondo noi, dovrebbe essere assecondato ed esaudito ma nella consapevolezza della maggiore responsabilità che ciascuno assumerà anche a livello sociale.
Ciò senza che si strutturino e si consolidino “paure” o posizioni preconcette ma intervenendo meglio nella fase della preparazione delle uscite e all’occorrenza, giovandosi di coloro che, professionalmente, si occupano dell’accompagnamento in montagna.
La nostra speranza è di rivederci presto e di nuovo tutti sotto quelle pareti o in cima a quelle vette che colorano i nostri ricordi e popolano i nostri sogni in queste notti di quarantena.
Guido Luccisano e Matteo Michelini
Marco Zaffiri del 10-05-2020
Con la Joelette la montagna è per tutti
Eccoci qua di nuovo, siamo spariti questo periodo di quarantena, non ce la siamo sentiti di pubblicare nulla se non alcune considerazioni di amici e alcune novità che avevano sviluppato intorno al nostro mondo e alle nostra Montagne. Come la app Multipitch una app/guida per il Gran Sasso.Marco Zaffiri del 31-03-2020
Sosteniamo il progetto Multipitch
È passato più di un anno da quando Gianluca ci chiese di testare una nuova app. Era la primissima versione di Multipitch con dentro un paio di vie, dettagliate e complete di foto. L’aspetto estetico era completamente diverso e molto scarno ma il potenziale e l’utilità era lampante.